L’industria italiana e le sfide della trasformazione digitale, Taisch: “Il trasferimento tecnologico deve diventare più veloce”
Il trasferimento tecnologico è quella preziosa attività che ha l’obiettivo di collegare il mondo della ricerca e dell’innovazione, cioè il “luogo” in cui le tecnologie si evolvono e si rinnovano, a quello dell’impresa, cioè l’ambito in cui queste tecnologie possono dare il loro contributo in termini di competitività e produttività. A occuparsi di questa importantissima funzione in Italia sono, solo per la parte legata al mondo delle tecnologie 4.0, tantissimi soggetti: il nuovo Atlante I4.0 del Ministero dello Sviluppo Economico ne conta 675, dai Competence Center ai Digital Innovation Hub delle varie sigle, ai PID fino ai centri privati.
Questa frammentazione – vale la pena dirlo subito – non giova all’efficacia: un nodo, questo, che viene al pettine nel momento in cui le tecnologie digitali diventano sempre più importanti. Perché “se la tecnologia accelera, il trasferimento tecnologico deve diventare più veloce”, come sostiene Marco Taisch, professore del Politecnico di Milano e Presidente del Made, uno degli otto centri di competenza italiani, che in queste settimane è al lavoro sui numerosi temi che coinvolgono proprio l’ecosistema del trasferimento tecnologico in Italia: dalle risorse stanziate dal Governo nel susseguirsi di decreti avvenuto durante la fase emergenziale, a quelle che verranno messe a disposizione dalla Commissione Europea nell’ambito del bilancio pluriennale 2021-2027.
Di queste ultime, quasi un miliardo (ma la cifra non è ancora ufficiale) sarà dedicato alla nascita degli European Digital Innovation Hub, i poli europei di innovazione che l’Europa ha individuato come soggetti incaricati di trasferire i risultati della ricerca (ma anche le risorse comunitarie) dedicati al trasferimento tecnologico nei vari territori degli Stati membri.
“Gli European Digital Innovation Hub sono soggetti che prendono i risultati della ricerca, li sistematizzano e, dopo aver compreso i bisogni delle imprese, li trasferiscono verso queste ultime affinché le usino per le loro implementazioni”, spiega Taisch. “Questo avviene attraverso l’orientamento e la formazione, ma anche mettendo a disposizione spazi, attrezzature, live demo dove le tecnologie possono essere viste e toccate con mano oltre ad essere testate in ambienti protetti che replicano la linea di produzione”.
Anche il Ministero dello Sviluppo Economico sta lavorando per ideare un meccanismo di incentivazione (anche fiscale) all’adozione delle tecnologie di frontiera da parte delle imprese. Il Piano Impresa 4.0 Plus(così è stato chiamato dal Ministro Patuanelli), sebbene non ne siano ancora disponibili i dettagli, è per Taisch un ulteriore passo verso l’obiettivo: “rimettere al centro degli investimenti e della comunicazione le tecnologie di Industria 4.0, in un grande progetto culturale di impresa di cui c’è forte bisogno”. Serve infatti un “grande piano industriale dove ognuno fa la sua parte: il Governo così come l’impresa e il mondo della ricerca e dell’innovazione”.
“Sono convinto che parlarne quotidianamente crea molto più impatto di una forma di incentivo fiscale, comunque necessario”, continua Taisch. “Vorrei vederne parlare più spesso sui nostri giornali in modo da essere pronti per ripartire dopo l’emergenza”.
Il trasferimento tecnologico in Italia va riorganizzato?
“La frammentazione dell’ecosistema del trasferimento tecnologico in Italia è il risultato di iniziative non coordinate che negli anni si sono sovrapposte”, continua Taisch. “Tra le 675 strutture bisogna vedere quelle che hanno la capacità di scaricare a terra l’innovazione, anche grazie alla capacità di effettuare investimenti significativi. In questa galassia infatti ci sono soggetti molto diversi tra di loro”.
Sulla struttura del trasferimento tecnologico in Italia ci sono anche voci critiche: Marco Bentivogli, ex Segretario della Fim-Cisl, ha ad esempio proposto assieme ad Alfonso Fuggetta, professore ordinario del Politecnico di Milano e Amministratore Delegato di Cefriel, di riorganizzarla creando una “Rete Nazionale dell’Innovazione” guardando al modello dei Fraunhofer tedeschi. La proposta è quella di creare una rete diffusa che garantisca la creazione sul territorio di ecosistemi in cui l’innovazione tecnologica sia trasmessa in maniera più efficace e soprattutto più omogenea, a prescindere dalle dimensioni (e dalle capacità) dell’impresa che richiede questi servizi.
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