Cercasi talenti e competenze: l’Italia sul podio dei paesi malati di skills gap
Cresce, e a passo di corsa, il divario delle competenze nelle aziende e nelle organizzazioni in tutto il mondo. Il motivo? Da una parte un’innovazione tecnologica più veloce di quella della formazione e del ‘saper fare’; dall’altra un certo disorientamento e impreparazione dei protagonisti – imprese, lavoratori, intere società e Paesi – nel saper stare al passo dei cambiamenti in atto.
E così la carenza di talenti (talent shortage) a livello globale raggiunge livelli record. L’Italia è terza al mondo, dopo Stati Uniti e Messico, nella classifica dei Paesi che hanno le maggiori difficoltà nel trovare i lavoratori con le giuste competenze. Una ‘eccellenza’ al contrario, ben poco invidiabile, e che rallenta inevitabilmente le potenzialità delle imprese Made in Italy, e della nostra economia.
La carenza di talenti a livello globale è quasi raddoppiata nell’ultimo decennio, secondo una ricerca di ManpowerGroup, dal titolo Closing the skills gap: what workers want, presentata in occasione del World Economic Forum di Davos. Il 54% delle aziende segnala una carenza delle competenze e in 36 su 44 Paesi analizzati si riscontrano difficoltà nell’attirare talenti qualificati rispetto al 2018.
Sono i datori di lavoro negli Stati Uniti (69%), in Messico (52%) in Italia (47%) e in Spagna (41%) a registrare le maggiori difficoltà nel trovare i lavoratori con le giuste capacità e specializzazioni.
Come colmare questo divario
In pratica, la creazione di valore per le aziende e gli azionisti deve essere accompagnata dal prendersi cura di dipendenti, clienti e comunità, è quindi fondamentale ascoltare la voce delle persone. “Con l’accelerazione dei processi di disruption, aiutare le persone a integrarsi nel lavoro del futuro e le aziende a diventare “creatrici di talenti” non è mai stato così importante”, fa notare il numero uno di ManpowerGroup.
Una rivoluzione globale delle competenze
Mentre i posti di lavoro vengono trasformati dalle tecnologie della ‘Quarta rivoluzione industriale‘, secondo le stime dell’Ocse più di un miliardo di posti di lavoro, quasi un terzo di tutti i posti di lavoro nel mondo, saranno probabilmente trasformati dalla tecnologia nel prossimo decennio, entro il 2030.
Nei prossimi due anni, entro il 2022, il World Economic Forum prevede che cambierà il 42% delle competenze fondamentali necessarie per svolgere i posti di lavoro esistenti, e saranno creati 133 milioni di nuovi posti di lavoro nelle principali economie per soddisfare le richieste della Digital transformation. Oltre alle competenze ad alta tecnologia, saranno molto richieste competenze interpersonali specializzate, comprese quelle relative alle vendite, alle risorse umane, all’assistenza e all’istruzione.
Dare valore al ‘saper fare’, non solo alle lauree
In un’altra delle numerose tavole rotonde del Wef 2020 è intervenuto anche il ministro del Lavoro francese, Muriel Pénicaud, che rileva: “in primo luogo, penso che molti dei lavori del futuro saranno incentrati innanzitutto sulle soft skills, probabilmente le più difficili da imparare, ma probabilmente le più decisive per il lungo termine”. E poi, rimarca che sarà importante “imparare, imparare, imparare. Significa curiosità. Le persone avranno una serie di abilità che domani saranno uniche per ogni persona, perché impareranno l’IA, ma anche la cucina, e anche le abilità soft. Questo cocktail di abilità farà la differenza nel tempo”. E conclude: “non è un pacchetto che si consegna a domicilio. Sarà un processo continuo”.
Continua a leggere in Innovation Post